Abbiamo il dovere di capire. Una frase semplice. Un impegno difficile. “Da questa parte del mare” con Giuseppe Cederna in scena lo scorso 31 gennaio all’Auditorium Parco della Musica è una provocazione che piega le coscienze, una preghiera universale per la dignità del mondo […]
Il mare, via crucis per un’onda umana lunga 30mila immigrati, tanti quanti ne contò il solo 2011, l’anno della prima tragica denuncia per un fenomeno che sarebbe diventata la più grande sconfitta del terzo millennio. Sulle note dei brani dell’album di Gianmaria Testa, Giuseppe Cederna rende omaggio prezioso a questa ultima testimonianza del cantautore italiano con il quale condivide la forza e la sensibilità necessarie per raccontare di un dramma che non può essere ignorato. […]
La condanna per le poche attenzioni concrete e propositive che il mondo politico ha dedicato all’analisi di un esodo umano dai contorni inquietanti arriva chiara e senza giri di parole. Il Mediterraneo, culla della cultura, diventa tomba dell’umana speranza e viene reso scenograficamente grazie al lavoro di Lorenza Gioberti e alle luci di Andrea Violato: una piccola pozza d’acqua circondata di massi, le pietre d’inciampo di uno sterminio contemporaneo.
Giuseppe Cederna interpreta con emozione e profonda empatia le parole disegnate da Gianmaria Testa e adattate per la versione teatrale da Alessandra Ballerini e Marco Revelli. Sono movimenti lenti e profondi quelli studiati dalla regia di Giorgio Gallione. Come lento è il viaggio che subiscono i migranti e profonda la ferita che per sempre si porteranno addosso.
Una tenda, qualche sedia, un altare di pietre e l’acqua. Non serve molto per riempire uno spazio scenico già gremito delle storie di speranza delusa di vite uguali alle nostre. Giuseppe Cederna è di volta in volta il migrante che trova il coraggio di amare anche sul punto di perdere tutto, il dolore muto di chi non ce la fa, la disperazione di chi, da questa parte del mare, è pronto ad accogliere. […]
L’intero spettacolo “Da questa parte del mare” è un monito all’urgenza di non dimenticare gli uomini fra gli uomini. Siamo stati e sempre saremo migranti delle nostre vite. Non c’è spettacolarizzazione del dolore durante la performance. C’è solo IL dolore.
Raffaella Ceres
The Parallel Vision – 19 febbraio 2019
«È un mistero svelato/ un segreto evidente»: termina con i versi di una struggente poesia di Gianmaria Testa, lo spettacolo «Da questa parte del mare» portato in scena al Sociale dall’attore Giuseppe Cederna, […] tratto dal libro del cantautore piemontese. […]
Una poesia che Cederna legge tra gli applausi del pubblico che ha seguito con partecipata sollecitudine un lavoro che cortocircuita lo spazio-tempo del nostro divenire. Cederna, diretto dal regista Giorgio Gallione, racconta 8 storie sul tema dell’emigrare: quello di oggi, che ci tocca tutti, e quello di ieri, che ha toccato tanti nostri connazionali. La scena sobria ma efficace, disegna un piccolo specchio d’acqua che simboleggia il Mediterraneo, un tumulo di pietre simboleggia il cimitero di Lampedusa: il corpo e la voce del protagonista sono il corpo e la voce di chi, corpo e voce, non ha più.
Cederna racconta storie di migrazione, racconta di sé: «quella volta che in Grecia sono stato scambiato per un profugo», racconta di noi. Seguendo la traccia della vita, dei testi e delle canzoni di Gianmaria Testa, per un lavoro che si è dimostrato intenso nella sua sobrietà, profondo nella sua capacità, anche, di farci sorridere, commovente nei passaggi più drammatici, esaltante nel cercare di coniugare la Storia con la cronaca.
Mai banale, men che meno manicheo, nell’affrontare un tema spinoso e spesso fatalmente
retorico. «L’umanità si è mossa da sempre», scrive Gianmaria Testa nel suo libro (Einaudi): «ci vorrà tempo e pazienza, che sono il contrario dell’urgenza».
Forse solo il teatro, per noi che abitiamo «da questa parte del mare», è davvero il luogo dove può avvenire questa alchimia: almeno per una sera. Perché il teatro, come la poesia «È un mistero svelato / un segreto evidente e non ha paura di niente / neanche di noi / la gente»
Andrea Frambosi
L’Eco di Bergamo – 24 dicembre 2018
A volte capita di andare a teatro e di essere completamente coinvolti dallo spettacolo. Sei seduto sulla comoda poltrona, il riscaldamento è acceso, ti senti a casa. Per un attimo, perdi la cognizione della realtà e inizi a provare le stesse emozioni dei protagonisti sul palco. Prima ancora che te ne accorga, stai piangendo. La platea è in religioso silenzio, si sente ogni respiro dell’attore in scena. Quando le luci si riaccendono, ti accorgi che anche gli altri hanno gli occhi lucidi e arrossati.
Questi sono gli spettacoli che prendono il cuore, e anche lo stomaco. […]
Per una sera il palco del Sociale si è trasformato nel Mare Mediterraneo, culla delle grandi civiltà, cuore della nostra Europa, quella stessa Europa che è stata – ingiustificatamente – cieca a molti gridi di aiuto. Senza questo prezioso mare, l’Occidente non sarebbe quello che è adesso. […]
Sul palco del Sociale Cederna è stato intenso e vero: ogni parola pronunciata era sentita dal profondo. Un senso reale di umanità che lega l’attore a Gianmaria Testa, che è stato sempre presente in scena, grazie alle sue musiche. Insieme hanno raccontato tante storie: chi ce l’ha fatta e chi purtroppo no. Sono storie di morte, di realtà al limite del pensabile, ma anche di speranza e di amore.
Di questi tempi si parla di migrazione in lungo e in largo. E noi occidentali in questo abbiamo dato il peggio di noi stessi. Se ne parla tanto, anzi tantissimo, ma evidentemente non è abbastanza perché ancora non siamo riusciti a sconfiggere il sentimento di paura che ci rende vili e disumani. La paura, una grande carogna che si insinua peggio della zizzania, ci ha in pugno. Ecco perché abbiamo ancora bisogno delle canzoni di Gianmaria Testa. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci racconti storie, in modo crudo, e che ci ricordi che un tempo anche noi italiani siamo stati migranti. […]
Quanto poco conosciamo e quanto ancora dobbiamo conoscere. Perché nessun uomo dotato di ragione lascerebbe la propria casa, se non fosse la casa stessa a gridargli di farlo. Nessuna madre metterebbe i propri figli su un barcone se non fosse costretta a farlo. È ora di capirlo.
Francesca Lai
Bergamo News – 21 dicembre 2018
Una prima che lascia un segno indelebile nell’animo, qualcosa che ci si porta dentro anche una volta che si lascia il teatro. […]
Spettacolo che si ispira al libro postumo di Gianmaria Testa, cantautore gentile e raffinato, che racconta di uno dei temi più controversi di questo periodo: le migrazioni.
[…] L’attore romano cadenza la sua performance con storie di Testa e storie vissute in prima persona, ma tutte con un minimo comune denominatore: quelli che stanno dall’altra parte del mare. I migranti e le loro storie, fatte di speranze, di mare e di bruciature di sale, di sogni e di crude realtà, abissi concreti e immaginari in cui sprofondano le vite. Sembra quasi di vederli quei barconi, buoni solo come legna da ardere, con stipati a bordo tutti quei volti di un colore diverso dal nostro, mentre il criminale di turno tiene il timone con una mano e il fucile con l’altra. Lo spettatore non può non sentirli vicino, non può sentirsi estraniato dal contesto e non può, in parte, sentirsi responsabile indiretto dell’indifferenza occidentale. Indifferenza con la quale contrasta l’impegno, soprattutto italiano, di chi si spende anima e corpo per salvare queste vite e renderle tali. Appunto, vite. Viviamo in un’epoca che nel fenomeno migratorio e nelle notizie ad esso legate sembra quasi rivivere, adattandolo ai tempi odierni, “I sommersi e i salvati” di Primo Levi. Questo spettacolo, complice la bravura di Cederna e le musiche di Testa, potremmo quasi definirlo un Maalox contro i bruciori di stomaco del razzismo, del populismo, dell’indifferenza , del noi e loro. E se nelle coscienze dei presenti qualcosa si è mosso, vuol dire che il medicinale fa effetto.
Federico Bonati
La voce di Mantova – 11 dicembre 2017
Gianmaria Testa apparteneva sicuramente a quel ristretto numero di persone che sanno cogliere l’essenza della vita da un soffio di vento, rendendo universale anche il più piccolo anelito, colorato anche il più grigio avvenimento. E, ancor più probabilmente, lo faceva senza la necessità di imporre una visione, ma con la spontaneità dei veri poeti e delle anime sensibili che dalla sofferenza rinascono e accarezzano, con la loro arte, la vita degli
altri. Questo è quello che ci è sembrato di cogliere l’altra sera andando ad ascoltare,
“Da questa parte del mare “, opera teatrale tratta dall’omonimo libro postumo di
Testa e interpretato da Giuseppe Cederna.
Una scoperta tardiva, la mia, indiretta e, soprattutto, colpevole, ignorante. Ma una rivelazione che si è manifestata in maniera deflagrante, con tutta la potenza di parole e note che hanno incontrato la mente e subito riscaldato il cuore.
Sì perché lo spettacolo – scenograficamente minimalista, ma efficace: qualche pietra, poche sedie vuote, un finto stagno, delle lampadine pendenti accese – è un mosaico di fotografie sull’emigrazione, tra ieri e oggi, che racconta punti di vista differenti e sofferenti, tormenti da ascoltare e cercare lenire; ma anche sogni, utopie, allucinazioni. Storie di cui perdiamo quasi sempre il senso specifico, particolare, per annegarle nel nostro senso di anestetizzata convenienza generale, relegandolo a un titolo, a evento ormai distante.
Uno spettacolo che (rap)presenta anche l’abbraccio di Testa all’essere umano, alle sue paure, e un’intima, dolente, presa di posizione sul tempo che diventa un flusso annichilente sulla nostra visione puerile e materialistica delle cose e della vita.
Gianmaria Testa dà forma ai particolari, ci regala brandelli di esperienze, nomi, lacrime e sudore, qui veicolati dalla pacata e umanissima esposizione fatta di gesti accarezzati e sguardi timidi di Giuseppe Cederna, e ci avvicina, ci immerge in quel calore umido, prossimo, appiccicaticcio, carico di dubbi morali, che appartiene alla storia di ognuno è che dovremmo sempre ricordare prima di giudicare chi è in difficoltà.
Omar Manini
Whipart.it – 20 novembre 2017
Migranti, con Cederna un monologo della coscienza
Un racconto poetico e commosso, che tenta di leggere in tutta la sua problematicità, ma con un anelito di speranza e di umanità, la grande epopea delle migrazioni, un fenomeno destinato a segnare la storia del nostro tempo. […]
“Da questa parte del mare”, infatti, nasce prima che sulle assi del palcoscenico, nelle pagine di un libro e nelle canzoni del noto cantautore piemontese, scomparso poco più di un anno fa.
Rendendo omaggio al suo “testamento” artistico e umano, Cederna e il regista Giorgio Gallione hanno realizzato l’allestimento teatrale. Lo spettacolo “cuce” insieme le considerazioni di Testa, passi d’autore, ricordi personali dello stesso Cederna. Soprattutto, attraverso il racconto, si sciorinano davanti ai nostri occhi immagini drammatiche, strappate all’inesorabile fluire della cronaca che “anestetizza” i cuori, per ritornare ad interrogare le coscienze. Tante storie, da Lampedusa a Samos, passando per le periferie
desolate delle nostre città, a segnare una geografia migrante, in cui i confini, nonostante tutto, crollano.
Sara Cerrato
La Provincia di Como – 17 novembre 2017
«Da questa parte del mare » la tragedia sfocia in poesia
È un pubblico attento e partecipe quello che ha riempito la platea del Teatro Alfieri martedì sera e caldamente applaudito «Da questa parte del mare», lo spettacolo di Giuseppe Cederna tratto dal libro postumo del cantautore cuneese Gianmaria Testa. Una drammaturgia che Giorgio Gallione ha equilibrato passando dalla tragedia dei migranti che soffrono, sperano, annegano, vengono perseguitati e rinchiusi, cacciati e disprezzati, eppure continuano a cercare una terra su cui vivere fuggendo da paesi in fiamme, a momenti più lievi.
Il rischio di un racconto, come di tutte le forme espressive che affrontano l’argomento, è quello di cadere nella retorica, nel pietismo. In «Da questa parte del mare» non accade, perché all’indignazione e alla denuncia – impossibile e immorale non farla – si accosta garbatamente, ironica e forse un po’ dolente, la voce di Gianmaria Testa, prima di tutto poeta dallo sguardo chiaro e d’antica saggezza. Così alle immagini più terribili si alternano racconti con un futuro positivo, come la ragazza che vuole comprare un’elefantessa
e chiamarla come sua nonna rimasta in Africa, o più «leggeri» come l’episodio della prostituta nigeriana aiutata dal narratore che, per ricambiare, si offre come buona moglie. […] Affabulatore confidenziale, Cederna non nasconde il suo esame di coscienza a proposito dell’episodio in cui un poliziotto lo scambia per un migrante, rendendo profondamente onesto il racconto e urgente la necessità di comprendere il problema. E il finale, il frammento di Testa sulla bellezza è un richiamo alla sentenza di Dostoevskij, «la
bellezza salverà il mondo». Finché ci sarà bellezza, ci sarà il mondo.
Carlo Francesco Conti
La Stampa Asti – 16 novembre 2017
Da questa parte del mare», la poesia di Gianmaria Testa messa in scena da Cederna
«Da questa parte del mare», dice Gianmaria Testa nella multibiografia che non ha fatto in tempo a vedere stampata da Einaudi (è morto l’anno scorso, di marzo). Multibiografia e non autobiografia, spiega Erri De Luca nella prefazione, poiché Gianmaria non riusciva a parlare di sé senza parlare degli altri.
«Da questa parte del mare», ripete adesso Giuseppe Cederna nello spettacolo diretto da Giorgio Gallione, prodotto da Fuorivia e dallo Stabile di Torino: un racconto di racconti che in quel libro affonda le mani e ne estrae persone e luoghi, suoni e visioni.
Che sia uno spettacolo colmo d’affetto per chi non c’è più è fuori discussione. Si sente scorrere sulla pelle come un pulviscolo. Ma c’è di mezzo Gallione, che è un mago della narrazione teatrale d’autore (quanti Pennac nella sua carriera!) e soprattutto c’è Cederna, che non si accontenta di mettere il cuore là dove deve trovare posto anche la testa. E così «Da questa parte del mare», vira verso la parte più dura e più rovente del libro, verso il tema delle migrazioni, verso l’incontro e lo scontro tra genti diverse. E tutto è visto attraverso lo specchio del mare, che in un tempo unisce e in un altro tempo divide.
Da questa parte del mare ci siamo noi, c’è l’Europa, c’è il passato; dall’altra parte si trovano loro, l’Africa, forse il futuro. Sul punto di rottura o d’incontro c’è Lampedusa, la «porta d’Europa», l’avamposto della disperazione o della speranza, a seconda delle prospettive. E Lampedusa è insieme approdo e cimitero. «Venga qui a contare i morti con me», scrive in un anno ormai lontano il sindaco dell’isola all’allora presidente del Consiglio Enrico Letta.
Testa, Gallione e Cederna non fanno sociologia, fanno poesia, perciò raccontano uomini e donne, inseguono destini. C’è la vicenda di Tino, per esempio. Ha attraversato il mare tenuto in vita dagli occhi di una donna insaccata come lui nel fondo di un barcone. Tino riesce a sentire soltanto la carezza dello sguardo: di fatto, pur nella brevissima distanza, la donna è irraggiungibile. C’è l’incontro con una giovane prostituta, che cammina nella notte gelida verso la stazione ferroviaria. La accoglie l’uomo nell’automobile non per prendere, ma per darle calore. Ci sono le vacanze fra le isole di questo mare che qualcuno, traducendo in anglo-toscano, considerava maldestramente “our”, ma invece è di tutti, anche di coloro che, con la loro presenza muta sorvegliata dalla polizia, di fatto incarcerata, vorrebbero disturbarle le vacanze.
Da questa parte del mare c’è la terra. Per Gianmaria è la sua terra, la terra lavorata per secoli nel flusso calmo delle stagioni, la terra che dà vita e futuro. Impastati con questa terra lui vede volti e memorie. Sprizza all’improvviso il ricordo di un matrimonio in cascina, con la musica, i balli.
Avete già capito che tipo di spettacolo è Da questa parte del mare. Quello che ancora non sapete è che si tratta di uno spettacolo apparentemente fatto di niente: un mucchio di pietre che sono lapidi e sepolcro, un poco d’acqua che scorre, un piccolo fuoco che per un istante arde, l’eco di qualche canzone con la voce di Gianmaria, un cappotto per accennare ad una situazione, un paio di sedie e un uomo al centro di tutto, un attore, si capisce, ma anche qualcosa di diverso. Che sarà mai Cederna in tutto questo? Un medium, un cantastorie, un testimone di seconda mano? Forse è una voce di passione. La voce della balena bianca che è venuta a spiaggiarsi fra di noi, nel sud del mondo, dividendo con noi la stessa parte di tempo, di mare, di terra.
Osvaldo Guerrieri
Lastampa.it – 1 novembre 2017
Noi e i migranti, per riflettere anche « Da questa parte del mare »
Da questa parte del mare. Lo spettacolo, tratto dal libro del compianto Gian maria Testa (Che già nel 2006 aveva affrontato il tema della migrazione con un album insignito del premio Tenco) e interpretato da Giuseppe Cederna, si focalizza su quello che c’è da questa parte, appunto, del Mediterraneo, nella zona dove guerra e povertà arrivano solo riportate da messaggeri silenziosi che ogni giorno approdano in Europa rinvenendo nella stessa, al netto degli egoismi, del razzismo, dell’indifferenza, ancora una – se non la – Terra promessa. Chi sono questi uomini, chi queste donne? Passando da una storia all’altra Cederna ci racconta di come queste vite si mescolino, si intreccino alla nostra. Quando, per esempio, siamo turisti in un’isola greca – Patmos – e per caso ci imbattiamo in un gruppo di migranti, composti, seduti per terra vicino al porto. Quando – è successo a lui, l’interprete – la polizia ci tira malamente per un braccio, scambiandoci per uno di loro, e la nostra reazione, immediata, di stizza, ci fa vergognare di fronte a loro, facendoci immediatamente capire che siamo uguali, è vero, ma anche profondamente e ingiustamente diversi (al pubblico sembra di sentire il proprio stesso braccio bruciare). Perché noi abbiamo una casa, un compagno o una compagna, una famiglia, un lavoro. Loro no: se la loro casa fosse ancora una casa non sarebbero partiti, se la loro casa non si fosse trasformata in «bocca di squalo» e se non avessero percepito che «la terra è meno sicura del mare» non si sarebbero imbarcati mettendo a repentaglio le vite dei loro stessi figli. Il Mediterraneo c’è, è presente in scena, è una pozza dove l’attore (che tra l’altro ha recitato in Mediterraneo di Salvatores) immerge i piedi, fa scorrere barche: ma il mar Mediterraneo è soprattutto una barriera psichica, un muro divisorio che ci separa da loro e che noi non vogliamo vedere, che ci si para davanti di colpo.
Laura di Corcia
Corriere del Ticino – 17 luglio 2017
La casa brucia sull’altro lato del Mediterraneo
Dicono gli antropologi che la retorica delle «radici», sempre usata come arma contundente ideologica nei confronti di chi non condivide i nostri stessi tratti storici è solo un altro degli imbrogli che giustificano le sopraffazioni. L’umanità ha i piedi per muoversi e spostarsi, non filamenti infissi nel terreno. Il resto è veleno identitario. Nessuno lascerebbe la propria casa, a meno che non sia la tua stessa casa a gridarti che devi fuggire perché arriveranno quelli con le lame e il fuoco a bruciare tutto. Ogni altro posto può essere più sicuro. Questo è il senso dell’emigrazione e delle onde umane che cercano di passare il Mediterraneo. Perché la loro casa brucia. Questo in estrema sintesi potrebbe essere il senso di uno spettacolo lirico e ruvido come Da questa parte del mare […]
[…]
Il titolo è quello del libro (e di un disco a monte del tutto) che Gianmaria Testa ha lasciato come estremo dono prima di andarsene, un anno fa, un libro che incrociava storie personali e storie di chi è dovuto emigrare per forza. Storie aspre e bellissime […]
In scena sassi, un simbolico contorno di terra che abbraccia uno specchio d’acqua simulacro di «mare nostrum». Cederna è e non è al contempo la voce di Testa, affiorante con lacerti accennati di canzone: è la voce scheggiata di quelli che non hanno voce […] della sindaca di Lampedusa e di Agnese di Palermo, la «grande madre mediterranea» È LA VOCE che accoglie tutti […] GIÀ, UNA CASA: forse è questo il cuore di Da questa parte del mare , uno spettacolo che dovrebbe girare anche nelle scuole […].
Guido Festinese
Il Manifesto – 6 maggio 2017
La collaborazione tra Giuseppe Cederna sul palco e Giorgio Gallione alla regia non poteva che garantire uno spettacolo di grande efficacia e profondità.[…] […] All’attore romano va riconosciuto il merito di avere offerto una recitazione impeccabile in grado di catalizzare l’attenzione del pubblico e a gestire come un regista in scena una narrazione che alterna voci e personalità distinte in un continuo campo e controcampo che ha quale elemento costante un mare che salva e insieme danna. Il successo è stato pieno come comprovano gli scroscianti applausi di un uditorio realmente emozionato che, oltre a Giuseppe Cederna e a Giorgio Gallione, ha esteso grande calore all’affettuoso ricordo di Gianmaria Testa.
Gabriele Benelli
www.sipario.it – 29 aprile 2017
[…] Una matassa scura e fitta avvolge l’intero palcoscenico all’alzarsi delle luci. Nero e grigio scuro o grigio petrolio, a tratti blu, sono decisamente i colori dominanti di questa produzione. Attraverso un’esile tenda, Giuseppe Cederna si insinua in questo garbuglio, proiezione che in qualche modo suggerisce e si fa icona dei tanti fili narrativi che man mano si svolgono tra parole e piccole azioni. Cavalcando una sedia, sedendovisi di lato, mettendo i piedi in una pozzanghera-mare al cui centro un sasso-scoglio indica Lampedusa, l’attore ci accompagna dentro un preciso sguardo, rivolto a decifrare la tensione che tante vite umane genera, a guardare in faccia il senso del migrare contrapposto a quell’esperienza altra che viviamo da viaggiatori al che il mare nostrum lo percorrono in direzione opposta […] […] Gallione taglia e ricuce il materiale del libro per una tessitura affacciata soprattutto sul mare, per far emergere quest’altro protagonista, il Mediterraneo. Mescolando i fatti della contemporaneità, […] cantato e recitato si amalgamano e si intersecano, perché le canzoni proseguono il racconto o lo precisano. Sono veraci interventi che sanno di sale, di vento, di strade, di sole cocente, restituiscono visione e materia alle figure evocate dalle parole. […] […]Un episodio scivola nell’altro in una colatura di vicende umane che si assomigliano e si associano a dipingere un grande quadro fatto di molte tinte diverse, ma tutte sporcate da quel liquame misto a petrolio, nero o bluastro, in cui tanti migranti muoiono avvelenati prima ancora di arrivare a destino. Un poetico languore triste attraversa questo spettacolo che, come un cantico dedicato a creature perdute, celebra un cantore e il suo pensiero, abbracciando passato e presente di una vasta umanità, attraversata ora per caso ora con intenzione, mai con indifferenza.
Laura Santini
www.mentelocale.it– 28 aprile 2017